mercoledì 20 marzo 2013

Ultimo sushi a Montreal

Dopo un mese di bel tempo (per modo di dire), è tornata la neve in grande stile. Il Québec, il Canada mi salutano e mi ricordano che questo non è 'o paese d'o sole...
Ieri giornata bellissima imbiancata, un amico mi ha portato sulla montagnola in centro a marciare in mezzo al bosco con la neve al ginocchio. C'erano due scatenati che facevano skateboard fra rocce e alberi, e tanti sciatori di fondo.
Prima di partire volevo davvero mangiare ancora una volta sushi e con l'amico abbiamo trovato un posticino sepolto nella neve. Ho imparato a farli, quando torno ci proverò.
Ecco qua, dopo vent'anni cambio, comincio qualcosa di nuovo. Sono contento.

domenica 3 marzo 2013

Addio a Montreal (Gechi, Canada-Italia)

Doveva rappresentare un grande cambiamento e alla fine lo è, ma non come inizialmente aspettato. Un inverno lungo, freddissimo, molto produttivo con gli studi e la pratica di massoterapia e con l'introspezione necessaria per capire dove voglio andare, cosa voglio fare. E così torno a Padova e comincio qualcosa di nuovo.
E adesso sono un turista, un viaggiatore in una città stremata dal ghiaccio ma che vibra già in attesa della primavera. Pare che qui le terrazze dei caffè aprano in marzo, anche se fa freddo, la gente non ne può più di aspettare. Intanto io sono tornato varie volte alla Maison de thé Camellia, con un amico che se ne intende un po'. Ieri abbiamo sorseggiato un tè cinese, dal nome impronunziabile, con un rito che prevede ben cinque tappe: si versa l'acqua bollente da un termos su una teierina di ceramica con le erbe (precedentemente macerate); si contano 15 secondi, poi si versa, anzi si appoggia a testa in giù la teierina su una caraffetta; si aspetta che coli tutto, poi si versa il tè dalla caraffetta in un vasetto cilindrico; si appoggia una tazzina a testa in giù sopra il vasetto, si rovescia ed ecco versato il tè; prima di berlo, si annusa il vasetto appena svuotato per apprezzare gli aromi e i richiami olfattivi. Mi è venuto in mente un'immagine: bere il tè così, rispetto a un espresso, sta alla differenza tra fumare la pipa o le sigarette. Vabbeh, a ciascuno il suo.
Accanto alla sala c'è la boutique, dove si acquistano tè sfusi da tutto il mondo. Sembra una di quelle farmacie di una volta, con scaffali pieni di barattoli tutti uguali che però i "consulenti del tè" conoscono a memoria. Ci fermiamo con uno di loro, che ci parla di certi tè come fossero vini (il tè che avevo bevuto aveva un'annata precisa). Ne descrive il bouquet come un poeta che parla di memorie, reminiscenze - mi trovo di fronte al Marcel Proust degli infusi. Da sogno.

venerdì 7 dicembre 2012

La pianta del tè (Gechi, Montreal, Quebec)


Una mia amica lavora in una sala da tè in centro, Camellia Sinensis, e oggi sono finalmente andato a vedere. Da solo, perché avevo provato ad invitare due donne diverse prima, ma bisogna scegliere quella giusta e loro non lo sono.

Il posto è stupendo, molto legno e colori caldi, atmosfera accogliente, intima e sommessa. Sono vietati cellulari e computer, per degustare una tazza di tè e una conversazione in pace, a un ritmo più lento, con raccoglimento. Il rito del tè, insomma. Il menù offre dozzine di varietà con nomi esotici - io ho preso la Perla del Drago, al gelsomino. Ho anche gustato una deliziosa torta al cioccolato, chiamata Divina Fusione. Alla mia destra, una coppia di donne parlava in inglese; alla mia sinistra, due ragazze parlavano con accento francese europeo, mentre io scrivevo copiosamente su un quaderno certi miei ricordi, una specie di riassunto della mia vita che fa parte di uno dei corsi del programma di massoterapia (molto lavoro introspettivo è richiesto, perché non si può dare agli altri se non ci si conosce bene e non si prende cura di sé stessi).
La musica era discreta, i camerieri, chiamati "conseillers de thé", gentili e silenziosi, e ti danno un campanellino per chiamarli quando sei pronto a ordinare. Alle tre di pomeriggio le due salette erano piene e io ho trovato l'ultimo tavolo libero. Il profumo di gelsomino mi accarezzava il cervello. Il tè è servito in teiere di vario tipo e tazzine piccolissime cinesi, per centellinarlo senza che si raffreddi. Tornerò ancora in quest'oasi di pace.

sabato 24 novembre 2012

Brrr (Montreal, Quebec)

Dopo tanto tempo ritorno al pezzo. Primo, per co-festeggiare coi vicini statunitensi la vittoria di Obama.

È da tanto che non scrivo e nel frattempo è arrivato l'inverno qui a Montréal. Inverno per me, ma il peggio deve ancora venire. Comunque a 2-3 gradi posso benissimo andare in bici, anzi il parka che mi protegge mi fa anche sudare dopo un po'. Gli scarponi artici li ho comprati in un negozio dove il servizio è come d'altri tempi; il padrone ti calza il piede, ti segue, ti consiglia e, dopo l'acquisto, ti accompagna alla porta e ti stringe la mano.
Finché non nevicherà, io vado in bici per le strade di questa bella città mezza europea e mezza canadese. I cartelli delle piste ciclabili indicano che sarà possibile parcheggiarci le auto dal 1 dicembre al 31 marzo, quindi non si prevedono molti ciclisti per ben 4 lunghi freddi mesi. Come farò? Intanto però qua non piove quasi mai, mai visto tanto sole in 20 in Canada. E la gente, eh qui sono tanto come noi, espressivi, cordiali, pazzerelloni, affettuosi. Alla mia prima festa a Montréal ho ballato con musica disco fino alle tre di notte - chissà quando fu l'ultima volta che andai a dormire a quell'ora.
Sto facendo amicizie con una facilità mai sperata tra gli anglofoni. Aiuta molto frequentare un corso intensivo in cui vivo esperienze forti con altre persone e questo ci sta legando molto.
Primi fiocchi di neve oggi… ahí ahí ahí…

domenica 18 novembre 2012

Silvia. Il prossimo viaggio.


Atterriamo in due città diverse, in due momenti diversi, ma nello stesso continente, nello stesso paese. Partirai di nuovo, ma intanto viviamo insieme questo bell'autunno. Ci addormentiamo tardi, la notte, perché ci piace parlare. La mattina invece ci alziamo presto per andare a lavoro. 
In questa stagione di licenziamenti delle commesse un lunedì mi suona il telefono. Mi chiamano a fare qualcosa che amo, il lavoro che sento mio. 
Così tutto il giorno i bambini mi chiamano maestra. E tu la sera mi chiami per sapere cosa ho preparato per cena. La buona riuscita dei miei piatti è una scommessa che perdo volentieri, mentre tu ridi e ti assicuro che anche stasera avevo cucinato con amore. 
Oggi, dopo colazione, andiamo alla stazione. 
Ti faccio ciao con la mano e decido che non scriverò più. Abbandono il romanzo dei nostri continui viaggi, del perdersi e del ritrovarsi. La scrittura ci ha a lungo tenuto in scacco coi suoi gorghi affascinanti e terribili, non voglio più vederci vivere sulla carta. Le nostre ferite colossali le curerà questo autunno, il prossimo inverno, o il prossimo anno. Forse, il prossimo viaggio. 

mercoledì 7 novembre 2012

Ce l'ha fatta (Felice, US)

Sarà difficile che mi dimentichi del grido di cinquanta adolescenti all'annuncio della vittoria di Obama. E' stato contagioso, e mi ha travolto e coinvolto. Le lacrime di due ventenni nere hanno suscitato le mie. Non scorderò neanche quelle. Mi hanno fatto capire meglio cosa stava succedendo. E' stata una vittoria della speranza. La politica veniva dopo. Ha vinto la volontà di concedersi una possibilità nuova, e il rifiuto di affidarsi ad un passato rassicurante ma comunque ingiusto e oscuro. Ecco cos'era la strana calma, ai limiti del torpore, del giorno prima delle elezioni. In realtà era una molla che si stava caricando e ad un certo punto desiderava solo saltare. Lasciarla lì, compressa, avrebbe voluto dire lasciarla arruginire senza che potesse rilasciare la sua energia. Ma alla fine ce l'ha fatta. Si  è liberata di tutta quella energia con un grido.

lunedì 5 novembre 2012

Domani ci sono le elezioni (Felice, US)

Notte pre-elettorale. Non c'è nè tensione nè attesa spasmodica nell'aria. Ora che scrivo mi rendo conto che con i colleghi, l'argomento non lo abbiamo toccato per tutto il giorno. I giornali danno la notizia in evidenza, ovviamente. Ma insieme alle altre. L'enfasi dei giornali italiani è sproporzionata rispetto alla stampa locale. Già durante i dibattiti televisivi mi ero reso conto, ad un certo punto, che mi sono portata dietro dall'Italia la smania della politica, della partigianeria. Una sera, infatti, mi sono ritrovato insieme ad altri due italiani a vedere il dibattito fra i candidati. Amici, conoscenti, colleghi americani non hanno spostato impegni o annullato cene per l'occasione. I giornali hanno fatto un pò di propaganda, giusto per vendere qualche copia in più, si sa come vanno queste cose. Ma, di nuovo, i giornali italiani l'hanno fatta molto più lunga. C'è sicuramente un elemento importante, che credo di aver capito, della società americana. Il mito americano è quello della persona che si fa da se. Ed in questo, Obama sicuramente incarna il mito. Questo comporta che la politica non è poi troppo importante, sicuramente non è più importante di altre cose. Si, lo so, lo so. Alla fine tutto dipende dalla politica. Ma gli americani non delegano alla politica il proprio destino. Non si aspettano che il governo gli dia il lavoro. Gli americani chiedono alla politica le condizioni per crearselo da soli il benedetto lavoro. Quindi, niente spasimi. Niente nottate elettorali. Niente proiezioni elettorali e spoglio in diretta. In TV stasera non ci sono programmi speciali. Strano. Ma è la verità. Ma perchè noi italiani diamo tanta importanza ai politici da trasformarli in rock-star? E aver bisogno ogni giorno della loro parola? Del botta e risposta? Degli urli?. Le nostre stesse pagine Facebook, a confronto con quelle di tutto il resto del mondo, sono dei siti di propaganda politica continua.  Ma perchè gli diamo così  tanta importanza? Se gliene dessimo un pò di meno di attenzione, loro, i nostri politici, sarebbero migliori. Ne sono sicuro.